PIANETA MARTE...
1.1.4.8. LA SCOPERTA DEI SATELLITI DI MARTE
di Gianni Viola
Sebbene scoperti ufficialmente solo nel 1877, i due satelliti di Marte, si ritiene fossero noti sin dal tempo di Omero, di cui si argomenta che ne parlò nel libro XV dell'"Iliade". Omero accennò ai due "servi o corsieri" di Marte, la Paura e il Terrore che in greco suonano "Phobos" e "Deimos". È lecito domandarsi se Omero intendesse dare veste mitologica ad una realtà astronomica nota fin dai tempi remoti. Deimos (come Phobos, figlio di Marte e della dea Afrodite o Venere) era l'auriga del padre e della dea Bellona, mentre Phobos accompagnava Marte nelle guerre sanguinose.
Dopo Omero, il primo accenno ai due satelliti lo dobbiamo a Keplero (1609) e nella medesima epoca a Francesco di Paola e A.M. Schyrl, monaco cappuccino che affermava di averli visti.
Keplero pare che avesse solo indovinato il numero dei satelliti esistenti, poiché in realtà si era servito di un semplice calcolo matematico, dove Venere, non avendo satelliti, era uguale a zero, la Terra equivaleva a uno (Luna) e Giove, si era appreso da poco che ne possedeva quattro. In realtà quattro sono solo i satelliti maggiori, i cosiddetti satelliti "galileiani"; mentre Giove possiede almeno altri 15 satelliti di minore entità.
In questa "scala" Venere era posta come il primo pianeta del Sistema Solare, perché Mercurio non era ancora stato scoperto, mentre non si era avuto ancora notizia del "satellite" che girava intorno al pianeta Venere. Lo stesso anno, 1645, in cui Cyrano de Bergerac accennava alla presenza dei due satelliti marziani, l'astronomo Francesco Fontana (15 novembre 1645) osservava da Napoli il satellite di Venere. Le osservazioni si susseguirono numerose fino al 1892: Giovanni Cassini (25 gennaio 1672), Giovanni Cassini (28 agosto 1686), James Short (23 ottobre 1740), Meier (20 maggio 1759), La Grange (10 febbraio 1761), Montaigne (3 maggio 1761), Roedkiorer e Horrebow (marzo 1764), Roedkiorer (3 gennaio 1768), Webb (22 maggio 1823), Horrebow (3 gennaio 1878), Stuyvaert (3 febbraio 1884), Barnard (13 agosto 1892).
In un'epoca in parte contemporanea due scrittori famosi, Swift (1726) e Voltaire (1752) trattarono, con dovizia di particolari, dei due satelliti di Marte.
Voltaire, nel suo "Micromegas" del 1752, immaginò dei giganti partiti da Sirio, per un viaggio interplanetario: "i nostri viaggiatori attraversarono uno spazio di circa 100 milioni di leghe e si accostarono al pianeta Marte, scorgendo due lune sfuggite alle osservazioni dei nostri astronomi" e che, secondo quanto sostenuto dallo scrittore francese, avevano lo specifico compito di illuminare il pianeta, durante le ore notturne. Le lune di Marte risultarono in ogni caso troppo piccole per poter ospitare i viaggiatori che procedettero oltre.
Jonathan Swift, scrittore irlandese, trattò (nel 1726) dei due satelliti di Marte nei suoi "Viaggi di Gulliver" ed in particolare nella terza parte della narrazione, denominata "Viaggio a Laputa". Sebbene si tratti di un'opera considerata dalla stragrande maggioranza dei critici come un libro puramente satirico e d'immaginazione, a distanza di oltre due secoli e a 150 anni. dalla scoperta di Hall (del 1877), il testo appare di una precisione sorprendente. sino ad offrire, in relazione ai due satelliti marziani, perfino il calcolo delle orbite. Il protagonista del romanzo incontra un'isola volante, interpretabile per un'"astronave aliena dalla forma discoidale", di 7 km di diametro (da notare che, sulla superficie di Marte sono state rilevate ombre di astronavi molto maggiori, fino ed oltre i 15-20-25 km). Il veicolo si muove a velocità enorme, spinto da una propulsione elettromagnetica.
Gulliver descrive le scoperte scientifiche operate dagli astronomi di un Paese molto progredito: "Hanno pure scoperto due stelle minori, o satelliti, che girano intorno a Marte, dei quali il più vicino dista dal centro del pianeta principale esattamente tre volte il suo diametro, e il più lontano cinque; il primo compie il suo giro in dieci ore, il secondo in ventuno e mezzo: cosicché i quadrati dei loro tempi periodici son quasi nella stessa proporzione con i cubi delle loro distanze dal centro di Marte, cosa che mostra chiaramente come siano governati di quella stessa legge di gravitazione che agisce sugli altri corpi celesti."
Si può osservare che ciò rispecchia esattamente la legge di Keplero, secondo la quale le lune di un pianeta conservano ciascuna un rapporto fisso tra il cubo della distanza e il quadrato del periodo di rivoluzione.
Dall'esame delle affermazioni di Gulliver (dunque di Swift) emergono subito alcune considerazioni: il periodo di rivoluzione di Phobos, qui indicato come superiore a quello registrato con le attuali strumentazioni tecniche, è di sette ore e trentanove minuti effettivi, contro le dieci di Swift, mentre quello di Deimos è di trenta ore e diciotto minuti contro le ventuno e mezzo di Swift.
Fra il XVIII e il XIX secolo altri studiosi si occuparono dei satelliti di Marte, fra cui il capitano Kindermann (1744) e l'astronomo Herschel (1783). I libri di appunti di quest'ultimo contengono alcune note relative alle sue ricerche, le quali però non gli fruttarono alcun risultato positivo.
L'inizio della vera ricerca si può attribuire senz'altro all'astronomo J.J. Von Littrow (1834). Alcuni decenni dopo, il signor D'Arrest, direttore dell'Osservatorio di Copenaghen, aveva cercato dei satelliti di Marte durante l'opposizione del 1864, e anche durante la più favorevole opposizione del 1862.
Come fece Swift a conoscere ciò che gli altri ignoravano?
Bisogna tenere presente che con gli strumenti ottici del tempo di Swift i satelliti di Marte non potevano essere stati visti e, oltretutto, sia Newton sia Halley, contemporanei di Swift, così come lo stesso Leverrier del secolo successivo, non sospettavano minimamente la loro esistenza.
Secondo l'astronomo Carl Sagan "Le lune di Marte se le inventò Giovanni Keplero, lo scopritore delle leggi che governano i moti dei pianeti, un ingegno tutt'altro che trascurabile. Ma Keplero visse nel XVI secolo (...) Quando Keplero seppe che Galileo, servendosi di uno dei primi telescopi, aveva scoperto le quattro grosse Lune di Giove, concluse subito che Marte aveva due Lune. Perché? Perché Marte si trova a una distanza dal Sole intermedia rispetto a quella che hanno la Terra e Giove. In queste condizioni, concluse che doveva avere ovviamente un numero intermedio di Lune. Dalle osservazioni pareva di dover concludere che Venere non ne avesse nessuna, la Terra ne aveva una, Giove ne aveva quattro." (Carl Sagan, "The cosmic connection an extraterrestrial perspective", Doubleday, New York, 1983; trad. it. Di A. Ghirardelli, "Contatto cosmico", Rizzoli, Milano, 1975).
Sulla stessa lunghezza d'onda si muove la scrittrice Giannina Poletto (Gianni Paletto, "La vita nel Cosmo", Armando Curcio Editore, Milano, 1984, p. 98) la quale si domanda: (Swift e Voltaire, N.d.A.) "da chi potevano averlo saputo? (...) Possibile che fossero venuti in contatto con un extraterrestre? L'ipotesi è cosi assurda, che è difficile darle credito, tanto più che la spiegazione della misteriosa anticipazione è abbastanza semplice: secondo Keplero nell'Universo tutto ubbidisce a leggi matematiche ben precise; così dato che la Terra ha un satellite e Giove quattro (in realtà ne ha molti di più, ma a quell'epoca non si sapeva), Marte è giusto che ne abbia due, perché i satelliti, evidentemente, almeno a detta di Keplero, sono distribuiti secondo la serie 1, 2, 4... in cui ogni numero è il doppio di quello precedente. Sicché è sufficiente supporre che Swift e Voltaire fossero a conoscenza delle previsioni di Keplero e le abbiano riprese nei loro libri per non dover più ricorrere all'implausibile intervento suggeritore di intelligenze superiori."
Tutto questo si sarebbe potuto accettare se effettivamente all'epoca di Swift non si fosse stati a conoscenza, come invece pare che si fosse, dell'esistenza di un satellite (naturale) di Venere. Il che in sostanza equivale ad annullare la tesi di Keplero. C'è da aggiungere poi che la successiva scomparsa del "satellite" di Venere pone in forse che si potesse trattare effettivamente di un satellite propriamente detto. In particolare la luna di Venere fu vista ripetutamente tra il 1672 e il 1674 e sporadicamente fino al 1892. Da allora essa è scomparsa e attualmente gli astronomi sono d'accordo nell'ammettere che Venere non ha satelliti.
Bisogna considerare inoltre che Swift, nel suo "Gulliver", non disse semplicemente che Marte aveva due satelliti, dunque non offrì soltanto dei ragguagli generali, bensì fornì di questi ultimi, notizie riguardanti il periodo di rivoluzione con un'approssimazione notevole che (e ciò vale soprattutto per Phobos), fatte le dovute proporzioni di tempo, da allora sono passati oltre 270 anni, oggi possono considerarsi esatti (Scrive A. Ducrocq: "Queste righe del terzo Viaggio a Laputa sono veramente sorprendenti, non solo per la predizione in sé, ma anche perché Swift si avvicinò moltissimo ad alcuni valori autentici (...) Per una curiosa combinazione che rasenta l aprofezia, gli elementi dati dallo Swift erano vicinissimi a quelli reali." - A. Ducrocq - opera citata). Mi pare superfluo osservare che i semplici accenni di Keplero non contenevano nulla di dettagliato e meno che mai notizie riguardanti le distanze dei satelliti dal centro di Marte o i rispettivi periodi di rivoluzione.
Phobos e Deimos furono in ogni caso scoperti "ufficialmente" solo nel 1877. Dopo i reiterati tentativi da parte di persone particolarmente competenti, nella corsa volta alla ricerca dei due satelliti, la sorte favorì Asaph Hall, astronomo dell'Osservatorio navale di Washington, che, per l'occasione, usò il nuovo grande rifrattore di 66 centimetri di diametro, allora il maggiore del Mondo.
In occasione dell'avvicinamento di Marte alla Terra, l'astronomo americano rimase per due settimane al telescopio, nella speranza di vedere i satelliti. Quando lo scoraggiamento lo stava inducendo a rinunciare, la moglie lo incitò a persistere. Il giorno dopo, l'11 agosto del 1877, riuscì a coronare il proprio sogno, scoprendo uno dei due satelliti, il più grande, e il secondo, più piccolo, fu avvistato il 17 agosto, e, con assoluta certezza, il 20 dello stesso mese. Si trattava di due "stelline" di 12° e 10° di grandezza, circolanti in rapida orbita intorno a Marte. Hall, ricalcando le denominazioni omeriche, chiamò i due satelliti Phobos e Deimos (Cfr. "Iliade", XV, 119; "Georgiche", III, 91. Inoltre, secondo quanto riferito da Plutarco, in onore di Marte si sacrificavano cavalli, verosimilmente perché erano animali usati in guerra).
Si parlò pure di un terzo satellite di Marte scoperto da un astronomo di nome E. Holden, che successe ad Asaph Hall presso il medesimo osservatorio astronomico. Lo studioso affermò che questo terzo satellite si muoveva contraddicendo apertamente la terza legge di Keplero, tuttavia nessun altro astronomo non ha mai ammesso l'esistenza di questo satellite e le successive spedizioni spaziali hanno accertato definitivamente che Marte possiede solo due satelliti. È ipotizzabíle che il terzo "satellite" di Marte fosse della medesima "natura" del "satellite" di Venere, in altre parole che non si trattasse di un satellite, ma di qualcos'altro, che, per il momento, non ci è dato sapere.
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