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1.1.4.9.2. LA SCOPERTA DEI "CANALI" DI ORIGINE FLUVIALE
di Gianni Viola

L'era spaziale riporta alla ribalta la polemica intorno alla questione dei canali. In pratica si tenta di trovare sulle fotografie scattate dai satelliti terrestri, degli elementi in qualche modo riconducibili alle strutture presunte dei canali, così come essi erano stati "visti" e descritti fin dal secolo scorso.
La prima reazione - che riguarda la maggior parte degli scienziati - è che sulle immagini raccolte dal primo "Mariner" è impossibile vedere una qualsiasi cosa che possa ricordare i canali di Lowell.
Tuttavia non tutti gli studiosi si trovano d'accordo con queste conclusioni. In particolare Clyde Tombought dichiara che "coloro che sono giunti a queste conclusioni avrebbero bisogno di una visita oculistica, poiché, secondo il suo parere, sulla fotografia n. 11 del Mariner 4, un cratere e due faglie parrebbero coincidere molto bene con un canale corto ed un'oasi di Lowell. Inoltre sulle fotografie n. 2 e n. 7, degli spazi scuri occuperebbero zone d'oasi". (Albert Ducrocq - opera citata).
Già nel 1964 dunque, le fotografie scattate della sonda americana "Mariner 4" dimostrano che alcuni allineamenti non sono semplici illusioni ottiche, come invece fino a quel momento avevano affermato i detrattori della teoria dei canali.
Nell'agosto del 1967 una relazione ufficiale americana, verosimilmente riferente ai risultati ottenuti dalla sonda "Mariner 4", parlava. di solchi lunghi da 160 a 320 km.
La questione dei canali sarà definitivamente chiarita, attraverso i dati acquisti dalla missione "Mariner 9". Cinque anni dopo, i mosaici composti dalle immagini riprese da questa missione, sono confrontati con la cartografía canalista di E.C. Slipher del 1962 ritenuta la migliore e l'apice dei molti tentativi di mappare Marte tramite l'uso del telescopio. La differenza tra i due documenti si rivela estremamente sottile. Si addiviene perciò alla conclusione che, "in qualche caso, i canalisti avevano ragione". Inoltre - come scrive lo studioso Ducrocq - il canale che essi avevano chiamato "Agathodaemon" non è altro che il gran canyon "Valles Marineris". Il canale "Styx" è identificabile con la catena di montagne "Phlegra Montes", il canale "Ceraunius" è la grande "Ceraunius Fossae". In particolare fa notare Ducrocq che "Antoniadi aveva preparato un'ottima carta, nella quale è segnalato un canale detto Cerberus: una striscia di terreno di cui oggi si può costatare come il suo potere riflettente sia particolarmente debole, forse per via d'un accumulo di pulviscolo. In altro modo possiamo affermare che, in qualche caso, le tracce osservate dai canalisti avevano un certo fondamento".
Dopo l'esplorazione compiuta dal "Mariner 9", esaminando le foto scattate da circa 2.000 km di quota, il geologo Harold Masursky, dichiara: "se vedessi una cosa del genere sulla Terra, direi senz'altro che deriva dall'azione delle acque" e la stessa posizione manterrà successivamente, quando diverrà direttore del progetto "Viking" del 1975-1976.
Così, riferendosi alle migliaia di km di canali che si snodano su Marte, ha affermato in un'altra occasione: "questo intreccio di linee è, credo, la prova definitiva di un'enorme erosione provocata in tempi remoti dall'acqua". ("Marte", Le Scienze, Mondadori video).
Le nuove immagini, rivelando nuovi particolari della superficie marziana, sollevavano a loro volta un nuovo mistero, proprio perché esse mostravano che la superficie di Marte è effettivamente cosparsa da canali di tutte le forme e dimensioni. Fu detto all'epoca che "erano stati scoperti canali d'altra natura!" Dalla missione "Mariner 9" emergeva l'esistenza di una serie di canali di origine fluviale che confermava e chiariva le immagini trasmesse dalle precedenti missioni "Mariner 6" e "Mariner 7". In particolare i dati rilevati dalla "Mariner 9" dimostravano la presenza su Marte di valli sinuose che seguono la pendenza del terreno, contengono degli affluenti e mostrano le caratteristiche di letti di fiumi ormai prosciugati, ricchi di depositi alluvionali e contenenti isolotti a forma di goccia, essi stessi orientati nel senso della pendenza.
Scrive David Pieri: "Il Mariner 9 scoprì che questi canali effettivamente erano reali e naturali. Migliaia di essi andavano dalle più diverse forme e taglie e costituivano un sistema di profondi tagli sinuosi con vasti crateri di decine di km di diametro, persistenti tra loro." (David Pieri, "The ancient rivers of Mars", in "The Planetary Report", Gennaio-Febbraio 1983) .
Un punto essenziale da tenere presente resta che la struttura di questi canali riproduce la morfologia prodotta dai corsi fluviali terrestri.
Aggiunge Pieri: "i letti dei fiumi secchi furono una delle cose che più stupirono i ricercatori della missione Mariner 9 e non sono dei letti di fiumi normali. I letti dei fiumi marziani sono più lunghi di qualsiasi letto di fiume larghissimo sulla Terra". (David Pieri, opera citata).
Il loro aspetto varia da quello di alvei di fiumi in secca, paragonabili come taglia agli "uadi" (letti petrosi di fiumi in secca) dei deserti terrestri, fine a giungere alle dimensioni titaniche della "Valles Marineris", di fronte alla quale rimpicciolisce qualsiasi altra caratteristica della superficie della Terra.
Una zona che suscitò subito interesse per le sue caratteristiche fu la regione del "Mare Erythraeum" che inizialmente venne studiata dal già citato Harold Masursky e da D.T. Milton, i quali si convinsero finalmente di trovarsi davanti ad una struttura fluviale.

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