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2.2. LA FUNZIONE DELL'IPOTESI NELLA RICERCA SCIENTIFICA
di Gianni Viola

In contrasto con Bacone, il filosofo Ernest Naville afferma che: "Una gran quantità di uomini possono osservare per tutta la loro vita senza fare una scoperta". Contrariamente a quanto sostenuto da Cartesio, egli afferma che tali soggetti potrebbero "ragionare all'infinito senza produrre altro che delle chimere". (1) Da questa posizione, lo stesso Naville deduce che Bacone e Cartesio, benché contrari sulla questione del metodo, hanno però commesso un medesimo errore: "hanno misconosciuto, l'uno e l'altro, il ruolo dell'ipotesi nella scienza". (2)
Naville fa notare che altri autori prima di lui ebbero a segnalare la presenza dell'ipotesi nelle costruzioni scientifiche, così ad esempio Bernard. Liebig, Chevreul e Whewell e naturalmente prima di tutti costoro, il grande Galileo. Tuttavia Naville fa notare che la novità della sua posizione sta proprio nell'aver assunto l'ipotesi come fattore presente in tutti gli elementi della scienza. Tale sua "scoperta", che lui avverte in tutta la portata storica e rivoluzionaria, nondimeno non ha la funzione di introdurre un elemento nuovo o di incoraggiarne la considerazione o l'uso; Naville afferma invece che tale proposizione ha la funzione di rendere coscienti i ricercatori della funzione dell'ipotesi e allo stesso tempo di rendere prudenti gli operatori della scienza nella considerazione di tal elemento: da una parte la presenza dell'ipotesi non deve farci scambiare un ragionamento con un sistema metafisico e dall'altra parte non deve farci credere che un'induzione fondata sia una teoria definitivamente stabilita. Ciò vuol dire che la coscienza del ruolo svolto dall'ipotesi deve essere un punto d'equilibrio per non farci credere nei facili fanatismi che albergano in quegli "ambienti": lo "scientismo" e lo "scetticismo", il primo che pone la scienza come dogma infallibile, il secondo che taccia d'inconsistenza tutto ciò che non si conforma ai dettami di quel dogma "stabilito". In tal caso l'ipotesi è una garanzia di obiettività. (3)
Nello schema di ricerca proposto dal Naville l'ipotesi occupa il posto principale, ponendosi dopo l'osservazione e prima della verifica: "observer, supposer, verifier". Nella sua definizione "l'atto del supporre è un'anticipazione del pensiero, senza la quale la scienza ristagnerebbe per sempre; e siffatta anticipazione è il prodotto di una spontaneità individuale". Egli sostiene che sia che essa appaia come dato stratificato successivo a stadi prestabiliti sia che essa appaia come illuminazione immediata (l'"eureka" di Archimede), resta il fatto che "l'ipotesi è il fattore indispensabile della scienza". (4)
Consideriamo ora una circostanza: quante volte ci imbattiamo in soggetti i quali non riescono a vedere (e neanche a "intravedere") dei dati obiettivi che a noi invece sono apparsi in tutto lo splendore della loro evidenza? Quante volte abbiamo cercato di spiegare, ma senza risultati, che una data scena fotografica andava osservata con obiettività e ci siamo trovati di fronte a soggetti che anziché esercitare con senno il senso della vista, si ingegnavano - con tutti i mezzi a loro disposizione - a costruire teorie o prove fittizie per "giustificare" la loro incapacità di vedere ciò che la realtà mostra all'osservazione di tutti? Naville, ciò appare chiaro, ci spiega a sufficienza il perché di tale circostanza e nondimeno ci ricorda che "il mondo non si lascia indovinare, bisogna osservarlo (...) le leggi e le cause non si lasciano osservare, bisogna indovinarle". (5)
Ciò significa la scienza non si può fare con il "sentito dire", con il "ritengo che..." o con "secondo la nostra convinzione ciò non è possibile". Se la scienza produce anche ipotesi che alla prova dei fatti si rivelano dei fallimenti, ciò non vuol dire che sia giusto in anticipo bocciare le ipotesi in quanto tali, poiché sarebbe come non parlare di razze per paura di apparire razzisti. (6)
Di fronte a tale considerazione dell'ipotesi, Naville si chiede quali sono le cause che hanno determinato una sua effettiva esclusione dalla scienza: le cause sono da ricercare nella tradizione del razionalismo e in quella dell'empirismo.
Il "razionalismo" è la dottrina che, avendo fede assoluta nella "ragione", afferma che la conoscenza della verità, si apre non al senso e all'esperienza, o alla fede rivelata, ma alle più alte funzioni dello "spirito", il quale non è un recipiente vuoto, una "tabula rasa", ma porta in sé e trae dalla sua interiorità principi, attività, idee (p.e. di causa e di sostanza) che consentono di penetrare nella realtà, considerata razionale nella sua essenza, comprenderla, ordinarla, volgerla a beneficio dell'uomo nell'opera di dominare la natura. Razionalisti si possono considerare nell'antichità Parmenide, Platone, Aristotele; Cartesio inizia il razionalismo moderno seguito da Spinoza, Leibniz, Kant, Hegel ecc.
Da parte sua l'"empirismo" comprende le dottrine che considerano l'"esperienza sensibile", le impressioni dei sensi come il fondamento e la fonte prima, essenziale, insostituibile del conoscere umano; vi appartengono nell'antichità la scuola "pirenaica", la "cinica", l'"epicurea", la "stoica" e, nei tempi moderni, la filosofia di Bacone, di Locke e di Hume. Essi non ammettono principi e idee innate e affermano che la conoscenza spunta soltanto dal contatto con le cose, dall'esperienza delle cose esterne o dei propri stati interni, gli elementi fondamentali sono le rappresentazioni semplici, le "sensazioni", che, collegandosi in rapporti sempre più complessi, spiegano tutta l'attività spirituale, non escluse le creazioni più alte.
Al riguardo, la posizione di Naville è la seguente: "L'empirismo dimentica la ragione; il razionalismo ignora l'esperienza: l'uno e l'altro disconoscono la spontaneità del pensiero individuale nella scoperta dei principi esplicativi che non sono l'espressione immediata né dei fatti né delle leggi a priori del pensiero". (7)
Il valore dell'ipotesi travalica il ruolo proprio che le è assegnato nell'ambito della ricerca, ciò vuol dire che esso interviene sia nell'osservazione sia nella verifica, ovvero in una posizione "ante litteram" durante lo svolgimento dell'esperienza (intesa come osservazione spontanea) e pure al momento dell'esperimento (inteso come osservazione guidata). Naville afferma: "L'azione dell'ipotesi nell'osservazione è così grande che, in assenza di una supposizione vera o sotto l'influenza di una supposizione falsa, si può avere un fatto sottomano e disconoscerlo" (8) con ciò riaffermando il medesimo concetto già riportato all'inizio del presente capitolo. (9)
Naville insiste più volte nel concetto dell'impossibilità che certi soggetti riescano ad utilizzare il metodo scientifico per raggiungere la verità. In particolare egli sostiene che non è raro che si contrapponga a dei fatti reali "una pretesa scienza la quale non è altro che l'abitudine di spiriti imbevuti di false dottrine". (10) Egli non disconosce la ragione in base alla quale è buona regola rifiutare delle ipotesi manifestamente impossibili perché ritenute contrarie alle leggi di natura conosciute. Secondo lui ciò "è una regola di buona prudenza per la pratica anche se in teoria, un fatto ben constatato prevale contro tutte le leggi della scienza (...)". (11)
Ricordo a tal proposito una tesi di laurea dove stava scritto che per cercare la vita fuori dalla Terra occorreva vedere dove questa era possibile che si trovasse, cioè dove era logico trovarla secondo le teorie correntemente accettate. In pratica in quella tesi si sosteneva di dover cercare laddove era giusto trovare, mentre, e qui sta il punto della faccenda, occorre cercare ovunque, non dove si presume debba trovarsi, bensì nel posto in cui essa si trova realmente.
A tutto questo va aggiunto che sebbene le ipotesi per essere ritenute valide debbono poter essere verificate, si può immaginare che tale regola sia applicata con molta prudenza, poiché, secondo Naville, "si tratta di un limite difficile, e anche impossibile, da tracciare in maniera assoluta, perché le ipotesi che non sono verificabili in una data epoca possono diventarlo più tardi". (12)
Ma qual è l'elemento di base che permette ad un soggetto di poter esercitare la ricerca secondo le indicazioni prospettate dalla posizione di Naville? Secondo lo studioso svizzero si tratta del "genio". Nulla di altezzoso o di superbo in tale definizione. Per Naville il genio è forse innato e in ogni caso uno non se ne può dare più di quanto non ne possiede, mentre appare possibile che esistano dei mezzi perché sia possibile mettere e frutto ciò che si possiede. (13)
Questi mezzi sono, sempre secondo Naville, il lavoro tenace, l'indipendenza della ricerca e la lealtà del pensiero. Com'è facile arguire tutti e tre questi elementi possono essere esercitati se solo si è capaci di "non farsi molestare dai guardiani della scienza" perché non a caso l'opera di disturbo attuata dai chierici della "Chiesa Scientista" tenta in tutti i modi di colpire proprio tali fattori, dacché se a taluni soggetti riesce difficile comprendere la giustezza e l'obiettività delle posizioni dei ricercatori "indipendenti", non sarà difficile comprendere che per combatterli nel loro rispetto del metodo scientifico, bisognerà attaccarli in quei fattori che possono renderli immuni dai loro morsi.
Da parte sua Loche parla di persone il cui intelletto, è "come colato nello stampo di un'ipotesi acquisita" (14) e sviluppando tale considerazione si esprime in questo modo: "Essi non attribuiscono alcun valore alle spiegazioni che sono loro date per spiegare le cause diversamente da come loro stessi le spiegano, né si lasciano sfiorare dalla possibilità di spiegare le cose in base ad altri principi con i quali si convincerebbero che le cose non vanno giustamente nel modo che essi stessi hanno stabilito. Effettivamente non è una cosa insopportabile, per un dotto professore, vedere la sua autorità capovolta, in un istante, da un nuovo venuto, fino allora sconosciuto da tutti?" (15)
La ricerca scientifica è essenzialmente "ricerca dell'unità" e tale fattore, afferma Naville "non è un'ipotesi, ma il principio direttivo di tutte le ipotesi" (16) e, in accordo con Bertrand, afferma ancora che "l'uomo crede al di fuori d'ogni dimostrazione all'armonia dell'universo e alla semplicità del suo meccanismo". (17) È notevole il fatto che la ricerca dell'unità è intesa più come elemento filosofico che scientifico, sebbene la filosofia, altro non sia, se non lo "spirito della scienza che prende coscienza di se stessa e che afferma ciò che suppone". (18)
Come afferma Erwin Schrödinger: "Se eliminiamo la metafisica, arte e scienza si riducono a miseri oggetti senz'anima, incapaci d'ogni evoluzione ulteriore". (19)

Note:
1. Ernest Naville, "La logique de l'hypothèse", Librairie Germer Bailliére et C., Paris 1880 ; Alcan, Paris 1895; infra p. 105.
2. idem.
3. ibidem, p. 185.
4. ibidem, pp. 284-290.
5. ibidem, p. 118.
6. ibidem, p. 117.
7. ibidem, p. 126.
8. ibidem, p. 176.
9. ibidem, p. 118.
10. ibidem, p. 186.
11. ibidem, p. 126.
12. ibidem, p. 176.
13. ibidem, p. 186.
14. Locke, "Saggio sull'intelletto umano", libro IV, cap. 20, Paragr. 11.
15. idem.
16. ibidem, p. 190.
17. ibidem, p. 250.
18. ibidem, p. 198.
19. E. Schrödinger, "La mia immagine del mondo ", trad it. Garzanti, 1987, p. 19.

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