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PIANETA MARTE...

 
1.2.
STRUTTURA AREOBIOLOGICA

di Gianni Viola
 

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1.1.4.9.3. L'origine dei "canali" fluviali »

L'uomo terrestre ha osservato il Cosmo sin dai tempi più remoti. Dapprima si è limitato ad usare i soli occhi, dal XVII secolo in poi ha usato strumentazioni via via sempre più ricercate.
Ancora nel XVII secolo l'unico strumento a disposizione dell'uomo per l'osservazione del Cielo era il cannocchiale, ed in alcuni casi, il telescopio.
All'epoca l'uomo era consapevole del fatto che l'unica finestra da cui egli poteva affacciarsi sul Cosmo era rappresentata dalle strumentazioni, in merito alle quali, del resto, era assolutamente convinto di trovarsi di fronte a mezzi molto limitati. Basta considerare il dispiacere espresso da Schiaparelli quando profetizzava che tutti i misteri di Marte si sarebbero potuti risolvere solo quando fosse stato possibile prendere delle misure precise in relazione alle immagini fotografiche del Pianeta Rosso.
Sembra incredibile, ma Schiaparelli si riferiva proprio a future fotografie ravvicinate, sebbene ancora non era in grado di accennare ad immagini che sarebbero potute essere riprese da strumentazioni vicine al Pianeta.
In pratica, fino a quel momento, gli astronomi avevano cercato di avvicinare Marte alla Terra, restando sulla Terra. Era come tendere una corda e prendere al laccio il Pianeta Rosso, per cercare di osservarlo meglio. Ciò era fatto con i telescopi e la cosa riusciva in maniera molto approssimativa, poiché Marte resta in ogni caso un pianeta abbastanza piccolo e la pur minima distanza dalla Terra non è mai inferiore ai 55 milioni di chilometri. Tutto ciò resta pur sempre un grande ostacolo per chi volesse utilizzare le strumentazioni ottiche per uno studio sistematico (meglio per un'"osservazione senza pretese") di quella tremula macchiolina rossa posta in cielo!
Bisogna dunque ammettere che il lavoro svolto dagli astronomi del secolo scorso, era un gran lavoro, un grande impegno svolto con il massimo utilizzo di tutti i mezzi a disposizione della scienza e, non per colpa loro, quei pionieri dell'astronomia descrittiva (planetologia) ottenevano risultati controversi e, spesso, contraddittori.
Cosi erano state già scoperte le calotte polari di Marte, dunque la presenza di ghiaccio (non necessariamente composto di acqua), si era osservato quello che poi sarà denominato "Monte Olympus", il più gran monte di Marte e forse di tutto il Sistema Solare (che Schiaparelli battezzò "Nix Olimpica" scambiando le nubi per ghiaccio, posto che questo vulcano spento si eleva ad un'altezza di circa 27 chilometri dal livello medio di Marte), si erano intravisti i cosiddetti "canali", giudicati da alcuni di natura artificiale, poi, in un secondo tempo, ritenuti inesistenti, tuttavia successivamente risultati, in parte, consistenti in corsi di origine fluviale o in enormi catene montuose.
Si era cioè di fronte a dati che provocavano dibattiti e confusioni, grandi sbandamenti e sconnesse reazioni prevalentemente di stampo conservatore, dove solo alcuni si rendevano conto che era giusto restare nell'attesa di ulteriori controlli.
Abbiamo accennato alla successiva scoperta (avvenuta nel nostro secolo) della natura fluviale di alcuni fra i canali già osservati nel secolo scorso.
Propriamente dopo la formulazione delle prime ipotesi riguardanti i canali, si è successivamente proceduto alla scoperta dì molte strutture fluviali, in merito alla cui esistenza, all'epoca delle prime osservazioni, non era stato possibile formulare alcun tipo di ipotesi.
Come si era giunti a queste nuove scoperte?
Si era ora in possesso di nuovi e più potenti telescopi?
Nient'affatto. Basti pensare che oggi il maggior telescopio terrestre, l'Hubble, che opera fuori della Terra (essendo posto in orbita intorno al nostro Pianeta), se puntato in direzione di Marte, riesce a malapena a distinguervi solo alcune fra le maggiori formazioni montuose e nient'altro, s'intende nient'altro di dettagliato.
Un dato va posto in rilievo: la scoperta della natura fluviale di alcuni canali osservati nel secolo scorso, nonché la scoperta di altri canali, sempre di origine fluviale e, in ogni caso, del tutto sconosciuti alle osservazioni degli astronomi del secolo scorso, non è stato opera delle osservazioni astronomiche da terra (astronomia di posizione).
È possibile quindi operare subito una prima differenziazione: i primi risultati riferiti allo studio di Marte si ottennero nel secolo scorso per merito di alcuni grandi astronomi, veri pionieri della scienza moderna e veri pionieri dello studio dei pianeti Marte.
Il secondo momento operativo fu reso possibile invece dalle osservazioni operate dalle strumentazioni poste in orbita intorno al Pianeta Rosso.
I voli spaziali hanno dunque tolto all'astronomia classica e all'astronomia descrittiva (operata senza l'indispensabile ausilio delle foto satellitari) il monopolio dell'osservazione di Marte, benché, complementariamente non va dimenticato che le missioni spaziali furono rese possibili proprio dall'elaborazione dell'enorme massa di dati raccolti precedentemente dagli astronomi.
Parrebbe naturale immaginare l'esistenza di una continuità metodologica tra gli studi condotti dai ricercatori tramite le osservazioni astronomiche della fine del XIX secolo (e gli inizi del XX) e gli studi che gli astronomi hanno (o avrebbero) avuto modo di operare attraverso l'utilizzo dei più ricercati strumenti montati a bordo delle navicelle spaziali poste in orbita intorno al Pianeta Rosso.
Diciamo parrebbe perché, nei fatti, questa continuità non si è verificata.
In pratica, gli astronomi che nel secolo scorso si occupavano di Marte spingevano la ricerca fino ai massimi risultati possibili, ciò che non significava per niente l'abbandono di alcuna logica scientifica, bensì (come il seguito della vicenda ha poi ampiamente dimostrato) apertura a possibili soluzioni dei problemi, sempre tenendo conto dei dati a disposizione e del livello della ricerca raggiunto all'epoca.
Invero gli astronomi di oggi (s'intende riferirsi qui a quella parte di astronomi che, nella pratica, perdurano in una metodologia resa inutile dalle nuove tecnologie di osservazione) "hanno semplicemente rinunciato ad accettare la nuova realtà sorta in seguito all'inizio dell'era spaziale".
La pubblicistica divulgativa sottolinea di continuo il fatto che non si è in grado di affermare con certezza se su Marte vi sia o no una qualche forma di vita.
In un video-documento la NASA afferma che: "se noi non troviamo vita su Marte oggi, ciò potrebbe voler dire semplicemente che abbiamo guardato nei luoghi sbagliati o ci siamo serviti di strumenti sbagliati o che siamo arrivati nel momento sbagliato". Viene anche ribadito che "le analisi condotte attraverso gli esperimenti dei Viking non escludono la possibilità che vi sia vita, ma neppure la confermano benché alcuni dati siano a favore della possibilità che la vita esista".
Il riferimento è ad un esperimento condotto dal dott. Levin.
Questo esperimento, denominato "Liberazione", fornì carbone radioattivo ai campioni di terreno presi da Marte e proseguì per ricercare ossido di carbonio radioattivo, che poteva essere stato liberato dalla respirazione di organismi viventi.
In tutti i test, i campioni produssero quantitativi misurabili di ossido di carbonio radioattivo.
Il dott. Klem, commentando la reazione della terra marziana al cosiddetto "brodo di pollo", sostiene che se si trattasse di un fenomeno biologico, ciò indicherebbe che la vita microbica è più sviluppata lassù rispetto alla Terra.
I ricercatori Di Pietro e Moleenar scrivono che il già citato dott. Levin (uno dei responsabili degli esperimenti della ricerca della vita condotti con il materiale prelevato dalle sonde "Viking") "ha provato vigorosamente ed effettivamente che gli esperimenti del Viking (...) probabilmente hanno mostrato l'esistenza della vita".
I tecnici responsabili dell'Hubble Space Telescope affermano che "la presenza di acqua su Marte potrebbe indicare che sul pianeta vi sono condizioni climatiche favorevoli a forme di vita come quelle terrestri". (Comunicato Televideo-RAI 19 maggio 1999).
Infine, ricordiamo il grande contributo offerto dai due scienziati Sagan e Slovskij, l'uno statunitense, l'altro russo. Secondo i due Marte sembra fornirci, nell'immediato futuro, la migliore opportunità per lo studio della vita extraterrestre, ciò in accordo con le dichiarazioni dei ricercatori del "Projet Sign", secondo cui gli astronomi sono in larga misura d'accordo nell'ammettere che un solo corpo nel Sistema Solare, oltre alla Terra, sia suscettibile di essere abitato da esseri viventi e questo pianeta è Marte.

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