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LA VERITÀ SULLA FINE DELL'U.R.S.S.

 
di Gianni Viola
Prospettiva Editrice
pagg. 216 - 22 foto b/n - € 14,00
Per ordinare: www.ibs.it

 

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NOTA DELL'AUTORE:

La prima volta che mi resi conto dell'esistenza di un complotto internazionale ai danni dell'Unione Sovietica, fu in occasione del convegno "I credenti in URSS oggi", svoltosi all'Hotel Columbus, di via della Conciliazione a Roma, nel marzo del 1988. Fu proprio in quelle circostanze che incontrai alcuni esponenti di "Radio Free Europa-Radio Liberty", il cui linguaggio mi ricordava molto da vicino espressioni già sentite in diversi film ambientati all'epoca del maccartismo, della "caccia alle streghe": la lotta contro il male assoluto dell'URSS (secondo lo slogan di Reagan) e la difesa della civiltà occidentale. Lì per lì, quelle espressioni mi sembrarono più i tratti verbali di un atteggiamento folcloristico, che non delle esternazioni politiche. Poi, con il trascorrere del tempo, ebbi invece modo di ricredermi della mia immensa ingenuità.

Per capire in quale misura i miei sospetti potessero essere generati da un pregiudizio politico, accettai di intervistare, nel 1989, uno dei dissidenti presenti in una delle molte occasioni di incontri, che all'epoca, si susseguivano a ritmo continuo. Si tratta di tale Bohdan Rebryk (sui particolari della cui vicenda si rimanda al testo), il quale, in pochi minuti, mi convinse che, invece, i miei sospetti erano più che fondati. In pratica, trovandomi "al posto giusto nel momento giusto", avevo avuto la possibilità di verificare direttamente il peso morale di "poveri" personaggi che, al di fuori di quel contesto, erano invece considerati con molto rispetto, osannati, foraggiati e non raramente insigniti di "lauree ad honorem" (in quel settore fu generosissimo l'Ateneo di Bologna...), conferendo titoli e prebende a personaggi del livello di Andrei Sacharov (grande ammiratore della "democrazia statunitense") e di Lech Walesa, suddito del papa, sul cui spessore culturale conviene tacere...

Non bisogna dimenticare, inoltre, che, contemporaneamente al richiamo ossessivo ai diritti umani, ai valori cristiani e al rispetto della vita, diuturnamente posto in campo da tutti i personaggi impegnati nella lotta contro l'Unione Sovietica, vi era un "pellegrinaggio" di devoti, i quali, regolarmente si recavano nei templi della politica statunitense, per chiedere (e ottenere) - si direbbe una grazia! - ora un "embargo", ora una sanzione punitiva, ora una legge federale, che in qualche modo potesse affamare, porre in difficoltà, insomma ricattare il mondo "sovietico", che andava demolito e distrutto (come l'antica Carthago da parte dei romani) solo perché - e non vi era altra ragione logica - non aveva ancora aperto le porte agli uomini d'affari (investitori-predatori) occidentali. Quando io, con fare simulatamente ingenuo, chiesi ad un esponente del Vaticano, perché si richiamassero i valori "cristiani" per demolire l'URSS, mentre di quei valori non c'era più traccia nella vita reale... lui mi rispose, che si trattava di una "semplice operazione politica". E io di rimando: "e allora, perché, quando qualcuno vi accusava di ipocrisia, voi vi indignavate, respingendo l'accusa di essere degli 'agenti al servizio del nemico'?". A quella domanda non seguì alcuna risposta.

Fu questa circostanza che mi convinse dell'opportunità e dell'urgenza di scrivere un libro per spiegare in termini organici ed esaustivi, "come e perché" l'Unione Sovietica fosse stata realmente aggredita a morte. Da chi, per conto di chi, con quali mezzi e con quali risultati. Alla fine ne ho tratto una testimonianza "dal di dentro", di una storia, se vogliamo "squallida", ma vera, la quale, pur di apparire attraente, giungeva ad abusare di locuzioni quali, appunto, "diritti umani", "libertà", "democrazia", facendo leva, esasperandoli, soprattutto sui fanatismi religiosi e nazionalistici. Per la sua stesura, mi sono servito di ciò che io provai, appresi e dedussi in quelle circostanze, ma sostenendolo in grande misura con documenti e testimonianze certe. È auspicabile che io abbia raggiunto lo scopo di squarciare quel velo di sottile-densa ipocrisia che, da sempre, ha coperto tutte le vicende legate alla fine dell'URSS. Nondimeno va ribadito che questo libro non è una difesa d'ufficio dell'Unione Sovietica che, in quanto tale, sarebbe necessariamente insieme formale e parziale, quindi non improntata a spirito di giustizia giuridica e scientifica. Essa è invece un'accusa contro la pretesa occidentale di decidere del destino di quelle società e di quei popoli che, per ragioni storiche o vicende politiche, si siano trovati a percorrere strade incompatibili con i valori correnti del capitalismo.

Non è retorica infine affermare che, dallo sfacelo dell'URSS (durante o subito dopo) derivarono tutti gli episodi distruttivi, che hanno caratterizzato l'ultimo ventennio, dal 1989 al momento attuale. Così la prima e la seconda guerra all'Irak (1990-2003) e la guerra del Kosovo e, prima ancora, una serie di attacchi e provocazioni alla Jugoslavia (1990-1999), senza contare tutta la faccenda del 2001 (il cosiddetto - del tutto discutibile - "11 Settembre") con la conseguente e "pretestuosa" aggressione all'Afghanistan. Fino a giungere, da ultimo, a tutte le provocazioni degli USA, di concerto con l'Europa, nei confronti della Russia, vedi ad esempio i fatti di Georgia, facenti parte della strategia del persistente accerchiamento occidentale, contornata delle cosiddette "rivoluzioni colorate".

Chi ricorda, infine, il gen Clark, comandante delle truppe NATO all'epoca dell'aggressione alla Jugoslavia, losco figuro, bisognoso di urgente trattamento psichiatrico, il quale seguiva la guerra al computer, saltando di gioia ogni volta che registrava una visibile distruzione operata dai suoi soldati in missione genocida?

Ma v'è un altro motivo per cui ho ritenuto opportuno e necessario scrivere un libro del genere... Per lavarci le mani, dopo aver sfiorato quei "figuri", che nel tempo in cui l'URSS stava per finire, giravano attorno al moribondo come gli avvoltoi attorno alla carogna. Questi personaggi avevano un nome. Erano i sovietologi, vile razza cortigiana, il cui malodore appestava le grigie sale in occasioni degli innumerevoli, squallidi e lugubri incontri. Oggi, tali personaggi, quando rimasti senza lavoro, si sono ricollocati in ambienti consoni e ogni tanto cercano disperatamente qualche "idiota" da difendere, si tratti di un sedicente "democratico" che lotta contro la ricerca nucleare dell'Iran, o di un "desperado" che ha fallito un attentato a Cuba, dopo aver ricevuto le armi dai mafiosi di Miami. Infatti - e questo è il persistente filo conduttore della politica dell'imperialismo del Pentagono - l'importante è lottare per un mondo USA-compatibile. Il resto decisamente non conta, anche se significa morte e distruzione dell'umanità.

Gianni Viola
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